Car@ amic@ di Arvaia,
Siamo entusiasti di raccontarvi delle bellissime esperienze che realizziamo insieme ai bambini dell’Associazione di Pedagogia Steineriana, che è proprio di fianco a noi.
Questo connubio ha portato a un coinvolgimento diretto dei nostri piccoli amici, i bambini nelle attività agricole, permettendo loro di interagire con i nostri contadini e di immergersi nella bellezza della natura che ci circonda. È un’opportunità unica di educazione ambientale che unisce divertimento e apprendimento, arricchendo le esperienze dei nostri giovani partecipanti.
Di seguito trovate un testo scritto da uno degli educatori, che cattura perfettamente lo spirito di questa straordinaria collaborazione.
La canna gentile di fiume e le croci con ramoscelli di olivo.
Una semplice passeggiata nei campi con i bambini può condurci alla scoperta di una storia antica. Porre croci di canne nei campi e negli orti, era una pratica di devozione popolare particolarmente sentita dalla gente di campagna. Ancora oggi può capitare di vederne qualcuna nelle campagne della Emilia Romagna o ammirare, come reperti graziosamente elaborati, in musei della civiltà contadina preindustriale.
Canne a croce con tre ramoscelli di ulivo, posti uno per ogni estremità superiore della croce stessa, venivano piantate subito dopo la semina del grano nel giorno di Santa Croce. Prima del Concilio Vaticano II, nel calendario liturgico, il 3 Maggio si ricordava l’Inventio Sanctae Cruci, ovvero il leggendario ritrovamento di quella che era considerata la Vera Croce su cui morì Gesù e che avvenne nel 326 d.c. per merito di S. Elena, madre dell’imperatore Costantino. Per questo motivo, ogni 3 di Maggio i contadini presero come usanza il piantare negli orti e nei campi croci fatte di canne.
Le Croci di Maggio venivano tolte al momento della mietitura, si baciavano e successivamente, erano deposte sui covoni. Terminata la battitura (trebbiatura), le croci erano messe sopra i pagliai.
Quest’usanza di porre le croci nei campi di grano, ci può apparire una forma di superstizione, però, per il contadino di allora che poteva perdere
in poco tempo mesi e mesi di lavoro anche solo per una grandinata improvvisa o un temporale particolarmente violento, non era così scontato,
come extrema ratio, affidarsi a Dio.
Maggio infatti è il periodo dell’anno più “pericoloso” per le colture, perché il seme non è più al sicuro sotto terra, le piantine sono germogliate e verdi svettano nei campi. Si sono già formate le spighe ma non sono ancora mature e pronte per il raccolto, sono sufficienti quindi condizioni atmosferiche avverse di qualsiasi tipo per danneggiarle irrimediabilmente.
In questo periodo nemmeno il più esperto dei contadini può fare più niente, se non invocare la protezione divina affinché tutto vada come deve andare. Poter beneficiare del raccolto in tutte le sue parti, dal frumento alla paglia, era garanzia di sopravvivenza per intere famiglie, e non era cosa da poco, considerando che la dura vita contadina, assicurava il minimo indispensabile, a volte, giusto per non morire di fame.
Le Croci di Maggio, tuttavia non sono un’”invenzione” ma derivate o ricalcate da culti precedenti che avevano il medesimo scopo di invocare la protezione divina sul raccolto. Come le Rogazioni, (dal latino rogare = chiedere, pregare) processioni rituali che si svolgevano nei campi, in cui si recitavano le Litanie dei Santi , che soppiantarono riti di culto pagano chiamati Robigalia e Ambarvalia. Le Robigalia, erano feste in onore della dea romana Robiga, divinità della ruggine del grano, celebrate per ingraziarsi la sua benevolenza affinché allontanasse dalle messi la “ruggine”, cioè un fungo parassita del grano, che si sviluppa con l’umidità delle nebbie. Venivano celebrate il 25 aprile, periodo in cui le spighe, appunto, cominciano a formarsi. Mentre le Ambarvalia, che cadevano alla fine di Maggio, erano in onore di Cerere per propiziare la fertilità dei campi.
Una semplice croce fatta di canna decorata con fiori freschi o secchi, rametti di ulivo o piante rampicanti, piantata in un campo o in un orto coltivato, ci riporta ad antiche usanze che fanno riflettere sulla fragilità dell’uomo. Un rituale da riprendere e riattualizzare. La nostra vita è infatti irrimediabilmente legata a Madre Natura, ai suoi ritmi, alle sue regole, oggi come allora.