Questo settembre siamo di nuovo in marcia contro la cementificazione, la distruzione degli ambienti dove abitiamo e per fortificare quei modi di vivere che riteniamo più in sintonia con i nostri territori.
Come l’anno scorso, abbiamo scelto di farlo camminando, per sentire la terra sotto i nostri piedi e per darci la possibilità dell’incontro.
Hub logistici al posto di campi coltivati, autostrade sempre più grandi, seggiovie su montagne dove la neve non c’è quasi più: i progetti che abbiamo contrastato nel corso di quest’anno sono accomunati dalla vera faccia di chi ci governa. È l’ipocrisia che tiene insieme il cemento e il green, di chi si dipinge progressista proponendoci sempre lo stesso modello basato su grossi investimenti edilizi – e disinvestimenti nei servizi, nella cura del verde e nella manutenzione. Per ogni seggiovia, una neonatologia che scompare. Per ogni gettata di cemento, molti spazi verdi che vengono “mantenuti” tagliando gli alberi.
L’alluvione di maggio ha reso evidente a molte persone una situazione che si protrae da decenni e che negli ultimi anni non ha fatto che accelerare: i soldi che si riversano sull’Emilia Romagna diventano consumo di suolo, campagne di immagine, fonti di profitto per pochi gruppi di interessi… ma non arricchiscono e non curano gli ambienti e chi li abita. E come potrebbe essere altrimenti, se chi governa parla di crisi climatica soltanto per scagionarsi e mai per affrontare il problema.
L’ipocrisia dei governanti è tanto più grave perché si ammanta del feticcio della partecipazione, cioè di percorsi in cui ai cittadini è “lasciata la parola”. Il trucco è dietro l’angolo, la parola ci viene concessa finché diciamo quello che vogliono loro, non una parola di più. Il sindaco e la giunta sono prontissimi a mostrarsi sui social network e sui giornali per approvare piani climatici non-vincolanti o per vantarsi dei quattro alberi che pianteranno per truccare in modo green il Passante. Quando però un gruppo di persone si ritrova per settimane sotto il consiglio comunale per esigere l’annullamento del progetto, le porte (e le bocche) del Comune restano chiuse.
Tutto questo non ci stupisce: facciamo rumore e continueremo a farlo per chiamare a raccolta chi in passato si è rassegnato a questa maniera di governare ma non vuole più farlo, per dire che un’idea diversa è lì, viva e vegeta, basta dargli spazio per crescere. Facciamo rumore per iniziare una discussione diversa, non ipocrita, in cui le parole non sono usate per ingannare. Una discussione che non ha bisogno di chi governa, ma di chi, zaino in spalla e scarpe ai piedi, ha deciso di agire. Nel corso di quest’anno, alcuni luoghi hanno reso meno solitario il nostro cammino. Da Lutzerath a Saint-Soline, passando per Atlanta e la Val Maurienne, abbiamo conosciuto molte persone che si oppongono alla distruzione del loro mondo e delle loro vite – così come i modi differenti che hanno sperimentato per resistervi.
Camminare dialogando, quindi, in un percorso che unirà ancora una volta la pianura e la montagna bolognese – e quest’anno si concluderà sul versante toscano. Arriveremo nella zona pistoiese del Corno alle Scale, dove si prepara un altro progetto inutile e dannoso: una funivia corredata da grosse colate di cemento, per costruire l’enorme stazione d’arrivo e due piloni da 45 e 38 metri di altezza. Il progetto- che peserebbe sulle casse pubbliche
almeno 16 milioni di euro – si “coniuga” con quello della seggiovia sul lato emiliano, all’interno di un piano per un comprensorio invernale a cavallo tra Toscana e Emilia- Romagna. Peccato che il cambiamento climatico stia ormai condannando lo sci da discesa sull’appennino a una progressiva scomparsa. Questi progetti sono ancora una volta l’occasione per grosse speculazioni, rinviando così i ragionamenti sul futuro della montagna e ignorando i finanziamenti ai servizi di cui ci sarebbe davvero bisogno (rete ferroviaria, rete idrica, servizi sanitari etc).
L’alluvione di maggio ha dimostrato che la mancanza di manutenzione e il consumo di suolo si traducono in
disastri reali, accentuando le conseguenze di piogge sempre più
torrenziali. L’ “emergenza”, inoltre, sarà l’occasione per confermare lo stesso modello di urbanizzazione e fare nuovi affari: la decisione di nominare l’ennesimo commissario ci assicura che nessun cambiamento di rotta sostanziale si prospetta all’orizzonte. La ricostruzione si fonda sul rilancio degli investimenti nella logistica, del turismo e di pochi grandi progetti dannosi, come le infrastrutture energetiche. Poiché il costruire, il cemento e la retorica del fare ci hanno portato a questo presente insopportabile, la ricostruzione non ci rassicura – e anzi, assicura soltanto nuovi disastri per le persone e le altre forme di vita.
Contro chi avvelena e mortifica gli ambienti dove viviamo, contro il loro governo e il loro futuro. Eccoci di nuovo in marcia con piedi sicuri e mani scaltre per dare coraggio al mondo che vogliamo. Il mondo delle montagne e delle pianure che si sollevano, delle città che si fanno ingovernabili.